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Two is mej che one: il mondo unico del co-branding

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Two is mej che one: il mondo unico del co-branding
Marketing

Perché il co-branding affascina tanto i brand e, soprattutto, gli utenti

Non sarà un argomento nuovo e nemmeno particolarmente innovativo ma mi ha sempre fatto riflettere. Il co-branding, inteso nella sua accezione più ampia di collaborazione tra brand diversi. In genere sono due, ma in alcuni casi particolarmente ambiziosi, proficui, o per motivi ignoti che per qualche motivo funzionano, troviamo anche più di due marchi.

Ne parlo nell’accezione più ampia perché possiamo parlare di un prodotto, realizzato in co-branding (delle scarpe Nike con colore Sprite, giusto per inventarne una) ma anche di comunicazione - post, campagne, comunicazioni social, on e offline, eventi, e chi più ne ha più ne metta. Certo, alla base c’è comunque quasi sempre un prodotto, o un servizio. In ogni caso, è una collaborazione strategica.

E sembra prendere sempre più piede tra i brand, in particolare quelli grandi, multinazionali, che esplorano nuove opportunità per acquisire quote di mercato e interagire con i consumatori, oltre che “unire le forze” e conquistare i rispettivi target, per fasce di prodotto diverse.

Ma perché il co-branding funziona? I motivi sono diversi, ma quello che a me è sempre interessato è quello psicologico, che coinvolge il pensiero dell’utente, o del cliente. Come me, come te che leggi.

Poi magari non è vero, ma l’idea alla base mi piace molto.

Uniamo le forze: cos’è il co-branding

Ne abbiamo più o meno tutti esperienza diretta ma giusto per fare un piccolo ripasso: co-branding è una forma di marketing collaborativo che comporta una partnership tra due o più brand per commercializzare e comunicare un prodotto, un servizio, un’iniziativa comune.

Le attività di marketing vengono dunque coordinate e decise dai partner - niente sogni ad occhi aperti, non c’è quasi mai nulla di casuale, ragazzi.

Alla base c’è uno studio approfondito del target a cui ci si rivolge in modo complementare, perché accomunati da stima, certo, ma soprattutto da valori e da una mission comune, da un approccio e un Tone of Voice simile - ma non uguale.

Simili ma non uguali; questo è il concetto alla base della collaborazione tra brand. In vista di risultati concreti, ovviamente (maggiore awareness, utili, conversioni, recognition…quello che volete).

Quali brand lo fanno? Potenzialmente, tutti! Ovviamente, non si parla quasi mai di co-branding per marchi che occupano lo stesso settore di mercato o che sono competitor. Porterebbe a una situazione di stallo - a meno che non ci siano dietro motivi etici e di impegno.

Perché funziona - versione per i brand

Uno dei primi motivi per cui il co-branding è tanto utile ai brand è che funziona - se ben studiato, attrae gli utenti, li invoglia, fa loro scoprire qualcosa di nuovo. E soprattutto, di unico e probabilmente limitato. Il prodotto o servizio frutto del co-branding è per sua natura unico, distinguibile dagli altri, particolare e diverso, e unisce le caratteristiche dei due brand (soprattutto quando c’è di mezzo l’abbigliamento).

E poi la collaborazione non va avanti per sempre (forse escludiamo Air Jordan e Nike), per cui la limitatezza temporale dell’edizione è un gancio in più.

Il risultato unisce valori e, in un certo senso, le USP dei brand coinvolti, ma il risultato è superiore alla semplice somma di questi. Il valore percepito è intrinsecamente più alto. La customer experience è per definizione unica e irripetibile, non ricapiterà più; un bel gancio per il cliente, soprattutto se fan dei due marchi.

Se sei arrivato fin qui per capire perché i brand ci investono, ormai dovremmo averlo capito, ma per essere sicuri:

  • maggiore brand awareness
  • maggior valore percepito
  • maggior engagement e acquisizione di nuovi potenziali consumatori intercettando il target del co-brand
  • aumento delle vendite - unicità del prodotto
  • se segui bene la collaborazione - fidelizzazione

 

Sia chiaro: ci sono dei rischi, che nascono soprattutto da errate valutazioni al momento della scelta del brand con cui fare una partnership - e quindi del suo target di riferimento.

  1. Uno dei due può oscurare l’altro
  2. La figuraccia comunicativa, quando due brand si uniscono forzatamente (per vantaggi diretti) ma in realtà hanno ben poco in comune
  3. La scelta di un competitor, più o meno diretto, che sembrerà forzata e “finta” all’utente
  4. Rischio che il prodotto non corrisponda alle aspettative - ma questo vale in realtà per tutti.

Per gli utenti: il mondo là fuori è uno solo

Finalmente sono arrivato alla parte che più mi interessa - l’utente, la persona, la ragione psicologica per cui il co-branding ci attira. Certo, quello che abbiamo visto prima vale anche adesso - l’unicità, l’esclusività, la limitatezza, l’avere qualcosa che unisce le migliori caratteristiche di due brand di cui sono fan.

Questo è indubbiamente valido. Ma mi piace pensare a una ragione più profonda, più psicologica, più ontologica (WARNING: presenza paroloni).

La ragione è che i grandi brand, per fare presa su di noi e coinvolgerci, per agganciare il giusto target, propongono i loro valori, le loro vision, il loro way of living. E certo, ognuno di loro ha la sua particolare.

C’è il modo Apple - sii diverso.

C’è il modo Nike - fallo e basta.

C’è il modo Coca-Cola - goditi la vita.

 

Ma ognuno di questi brand crea il suo modo di proporre una visione della vita, un po’ come se fosse uno scompartimento stagno. Di volta in volta sei un utente Nike, un utente Apple, un utente Coca-Cola, ma mai tutte queste cose insieme.

Vivi nel mondo rosso, fantasioso e magico di Coca-Cola. In quello sognante di Disney. In quello feroce e determinato di Under Armour. Come se fossero mondi diversi.

 

Ma noi viviamo qui fuori. In un mondo unico, sfaccettato, dove la nostra personalità cambia ed evolve, e le nostre scelte pure. Noi viviamo in questi mondi contemporaneamente, siamo fan di tutti questi brand contemporaneamente - perché al fondo c’è qualcosa che li unisce. Noi.

E quando i brand, a loro volta, si uniscono e collaborano, ritroviamo un po’ della nostra unicità anche in loro. Li sentiamo più vicini che mai. Ritroviamo finalmente il nostro mondo nel loro - un mondo dove tutto si mescola, valori diversi (ma non contrastanti) convivono.

Scopriamo che il loro mondo, là dietro, è, per una volta, simile al nostro. Non dobbiamo scegliere in che mondo vivere, chi essere, possiamo essere noi stessi. E questo ci piace.

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