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Risalire la montagna. L’Italia e la Digital Transformation

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Risalire la montagna. L’Italia e la Digital Transformation
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A che punto è la Digital Transformation in Italia?

Tempo di lettura ≈ 9 min.

Come sempre, quando si avvicina la fine dell’anno, inizia a essere tempo di bilanci. Uno che ci riguarda molto da vicino è quello sullo stato della Digital Transformation in Italia. Come sta procedendo? Più male che bene, in effetti. Ma non ci sono solo motivi per essere pessimisti. Vediamo qualche dato e cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Quanto è Digital la Digital Transformation

Prima di tutto, cerchiamo di capire cosa si intende con Digital Transformation (o DX), uno dei cambiamenti più epocali in corso nella società e nel mondo del lavoro dopo l’avvento di Internet. Un cambiamento che, per la verità, è ancora lontano dal compiersi, soprattutto in Italia.

Questa trasformazione non riguarda, come si crede nell’immaginario comune, solo la “robotizzazione dei mezzi di produzione”; ovvero la creazione di macchine sempre più complesse e avanzate che lavorino al posto dell’uomo. C’è sicuramente una grande componente di innovazione tecnologica ma la DX, in realtà, non parla di questo. O non solo. Il progresso tecnologico riguarda soprattutto:

  • la gestione aziendale;
  • la strutturazione interna;
  • i metodi di lavoro;
  • l’offerta di una migliore esperienza online per il cliente;
  • la raccolta e l’uso dei dati.

È quindi una modificazione sostanziale del sistema produttivo fondata sulla digitalizzazione, la quale fa leva prima di tutto sulla conoscenza umana, sull’analisi e la capacità di sfruttare in modo intelligente le nuove tecnologie per disegnare i business e l’economia del futuro.

Non per niente, uno degli ambiti in cui le imprese hanno investito di più nell’ultimo anno, soprattutto in Italia, è il Cloud, con l’obiettivo di semplificare la condivisione e i processi produttivi. Per la digitalizzazione aziendale quest’anno verranno investiti 1300 miliardi di dollari (che l’anno prossimo saranno 1700).

Quanto tempo ci rimane?

Non si tratta più, se mai lo è stato, di un investimento marginale. Aprire un sito web perché “se non ce l’hai non sei nessuno” e poi abbandonarlo al suo destino è un costo inutile e privo di senso. La DX parla proprio di cambiare questi abiti mentali per imparare a sfruttare i mezzi tecnologici in ogni settore lavorativo (e sociale). Certo non è un percorso facile. È una strategia a lungo termine, per cui spesso rientra nell’etereo confine delle vision aziendali: e, per questo, subisce continui ritardi nell’applicazione. Dell Technologies ha realizzato una ricerca su come 3800 imprese di tutto il mondo si stanno preparando alla trasformazione. Con l’obiettivo di capire come saranno queste aziende nel 2030. Ecco, puntare al 2030 e investirci soldi, tempo e risorse, in Italia sembra ancora poco sensato, soprattutto per le PMI. Non rischioso, ma talmente distante che “ci penseremo più avanti”.

Il problema è che non ci si può pensare più avanti: in alcuni settori, già adesso potrebbe essere troppo tardi. Chi gestisce un’azienda deve iniziare fin d’ora, se non l’ha già fatto, a digitalizzare il proprio business, se vuole avere vantaggi significativi. E non nel 2030, ma molto prima: secondo IDC i risultati già si vedono, soprattutto in termini di:

  • Customer Experience;
  • riduzione dei costi di gestione;
  • generazione di nuove revenues;
  • soddisfazione del dipendente;
  • crescita del cliente.

Il rischio, alla fine, è che potrebbe non esserci spazio per zone grigie: chi sarà stato pioniere nel cavalcare la DX avrà vantaggi importanti, guadagnerà clienti, quote di mercato e ROI, mentre chi rimarrà indietro rischierà di venire fagocitato e finire nel dimenticatoio.

I dati della commissione europea

I dati a cui si fa riferimento sono soprattutto quelli del DESI 2018 – Digital Economy and Society Indexl’Indice dello stato digitale dell’economia e della società – che viene elaborato ogni anno dalla commissione europea e riguarda tutti i 28 stati membri dell’Unione. Il report prende in considerazione cinque aspetti della digitalizzazione:

  1. Connettività: reti fisse e mobili e relativi prezzi;
  2. Capitale umano: uso di internet, competenze digitali di base e avanzate;
  3. Uso dei servizi Internet: contenuti, canali di comunicazione, transazioni online;
  4. Integrazione delle tecnologie digitali: ovvero la digitalizzazione delle imprese;
  5. Servizi pubblici digitali: governo e sanità digitale.

I dati sono quelli sul profilo della situazione italiana e si riferiscono all’anno 2017.

Italiani, popolo di santi, poeti e navigatori (del web?)

Qual è quindi la situazione in Italia per quando riguarda la DX di utenti e, soprattutto, imprese? A quanto pare, non molto buona: nell’indice globale del DESI siamo in fondo, al 25mo posto sui 28 Stati dell’Unione, e siamo cresciuti poco anche nel 2017 (2,9 punti rispetto ai 3,2 della media europea). Come viene sottolineato, «la sfida principale è rappresentata dalla carenza di competenze digitali».

Per il 90% delle aziende italiane il livello di digitalizzazione è basso o molto basso e solo 1 su 10 ha un livello di digitalizzazione alto (per intenderci la Danimarca, al primo posto, è al 42%). Buoni risultati sono raggiunti, sembra, solo dalle grandi imprese (o da quelle del settore informatico). Ma cosa considera il livello di digitalizzazione delle imprese? Ecco alcuni punti:

  • Presenza di un sito web;
  • Livello di interattività del sito (che non dovrebbe essere una vetrina statica);
  • Uso dei social media;
  • Almeno il 50% dei dipendenti usa Internet (chiaramente è più facile in alcune business area);
  • Avere un CRM;
  • Fornitura ai dipendenti di cellulari o tablet aziendali;
  • Vendita di prodotti o servizi online e avere store online propri.

In questo campo l’Italia recupera qualche posizione ed è 20ma (anche se l’anno scorso era 19ma). Tuttavia, secondo un report di Capgemini, solo il 36% delle imprese italiane pensa di avere le competenze per affrontare la DX: quasi la metà però dice di aver investito nella formazione digitale dei propri dipendenti.

Gli investimenti sono sicuramente in aumento, ma siccome siamo partiti dopo gli altri dobbiamo recuperare: la digitalizzazione delle imprese italiane è ancora troppo lenta. L’Italia, come sappiamo, è fondata sulle piccole e medie imprese. Visto il patrimonio, soprattutto artigianale e di qualità, delle PMI italiane, il rischio che vengano divorate dalle grandi imprese o che spariscano nel mare del web è molto alto. Se le imprese italiane non accelereranno il loro processo di digitalizzazione, rischiano di rimanere tagliate fuori dal contesto produttivo, europeo e globale. Sarebbe per noi una perdita enorme, dato che a livello manifatturiero siamo uno dei paesi più apprezzati al mondo.

Infrastrutture

Per attuare la DX è indubbiamente necessario avere i giusti mezzi e le infrastrutture a disposizione. La trasformazione, come detto, non riguarda solo la tecnologia, ma questa è sicuramente necessaria. Su questo la situazione dell’Italia è un po’ contraddittoria. Nell’ambito della connettività occupiamo il 26mo posto sui 28 dell’UE, soprattutto per il ritardo nella diffusione della banda larga ultraveloce (la fibra da oltre 100 Mbps). Però siamo all’avanguardia nello sviluppo di alcune tecnologie, come il 5G, e abbiamo recepito per primi la legislazione sulla riduzione dei costi della banda larga, anche se fatichiamo ad applicarla.

Tecnologia

Il fulcro della Digital Transformation non è meccanizzare i processi produttivi, o utilizzare più tecnologia. È soprattutto un cambio mentale, l’idea di poter e saper sfruttare soluzioni tecnologiche (o di idearle, se ancora non ci sono) per snellire i processi e migliorarli, oltre che per far fare il task giusto alla persona giusta nel momento giusto (e quindi fornire servizi e prodotti migliori). Certo l’utilizzo di cloud, CRM, gestionali efficaci aiuta la digitalizzazione e l’organizzazione ottimale del lavoro.

Management

È percepito come uno degli ostacoli principali alla digitalizzazione. Secondo l’analisi di Capgemini solo il 26% delle aziende italiane pensa di avere una leadership adeguata (media molto più bassa rispetto al 35% europeo). Molto spesso, dunque, la gestione manageriale non è adatta o all’avanguardia, o anche solo pronta ad affrontare il cambiamento. Serve molta più cultura digitale oltre a un’attitudine mentale e lavorativa flessibile e adattiva. È necessaria una visione a lungo (addirittura lunghissimo) termine, ampia e generale, e quindi precisamente manageriale, per capire dove sta andando l’azienda, fissare degli obiettivi realistici e altri più ideali, capire quali saranno i mezzi giusti per raggiungerli e migliorare il proprio business. Ma in Italia, soprattutto nelle PMI, questo processo è ancora in ritardo.

E-commerce e shop online

Uno dei punti fondamentali della digitalizzazione, per le aziende che vendono prodotti e servizi, è dotarsi di un e-commerce, un negozio online dove i propri clienti possano fare acquisti (in modo facile e sicuro). Anche in questo caso i dati sono contradditori: il 44% degli italiani fa shopping online regolarmente (dato comunque sotto la media europea), ma spesso le PMI ancora faticano ad adottare siti web funzionali, mobile responsive, accattivanti e dotati di store online. Per le grandi aziende, com’è facile immaginare, i dati sono migliori (e questo non solo in Italia, ma a livello europeo). Secondo DESI, tuttavia, in Italia negli ultimi anni sono aumentati i siti dotati di e-shop, ma gli italiani non li sfruttano. Questo perché preferiscono provare le merci nei negozi fisici, ma anche perché spesso i siti sono poco funzionali o vengono percepiti come poco sicuri.

Formazione digitale

Sta diventando fondamentale il reskilling, soprattutto per i giovani: ovvero l’acquisizione di competenze digitali o la riconfigurazione di quelle che già si possiedono in ottica digitale. La Digital Transformation, infatti, è un cambio di atteggiamento soprattutto a livello conoscitivo. Le competenze digitali, poi, possono essere di vario tipo, e afferire a diversi settori, ma sono trasversali. Tanto per fare un esempio, il nostro punteggio a livello di capitale umano ci mette al 25mo posto sui 28 UE: usiamo poco Internet (strano a dirsi!), abbiamo pochi specialisti informatici e pochi laureati in materie scientifiche o matematiche.

«L’Italia manca ancora di una strategia globale dedicata alle competenze digitali, lacuna che penalizza quei settori della popolazione, come gli anziani e le persone inattive, che non vengono fatti oggetto di altre iniziative in materia.» Dal rapporto DESI 2018.

Il Virtual Wall. Le barriere

Ma quindi quali sono gli ostacoli che le imprese trovano sul percorso di digitalizzazione? La questione non è tanto mentale, perché gli italiani vedono la digitalizzazione come un fatto positivo, anche in relazione al proprio lavoro. Allo stesso modo, non è un problema di rischi, perché la DX viene percepita come poco rischiosa dalla maggior parte degli imprenditori: è vista soprattutto come un fatto inevitabile, per cui non siamo pronti e quindi ancora di là da venire. E questo, in realtà, è già una barriera. Ma soprattutto i problemi riguardano:

  • costi: le imprese, probabilmente vedono la DX come un abbellimento non impellente, per cui stentano a dedicarvi tempo, soldi e risorse. Il governo, con la legge di stabilità 2018, ha stanziato finanziamenti, crediti d’imposta e contributi per chi investe nell’Industria 4.0 (per l’appunto con il Piano nazionale Impresa 4.0), anche a livello di formazione e capitale umano. Secondo il DESI «una volta che tutti gli elementi del Piano Impresa 4.0 saranno finalmente operativi, è probabile che il processo di digitalizzazione delle PMI proceda a un ritmo accelerato»;
  • Il ritardo nella formazione della forza-lavoro, per cui siamo ancora indietro nella formazione di competenze digitali, specifiche ma anche di largo spettro;
  • Mancanza di una visione imprenditoriale di medio-lungo periodo.

In conclusione

La tecnologia non è il fine, ma il mezzo con cui realizzare la Digital Transformation, che è un cambio di paradigma molto più ampio. Occorre cambiare metodologie e pratiche di lavoro, che coinvolgono le persone, le strutture organizzative, e poi anche la tecnologia. Serve un cambio di attitudine mentale.

La meta finale? Probabilmente non c’è, perché il miglioramento sarà continuo. Per ora si parla di Intelligenza Artificiale, Internet of Things, Realtà Virtuale e Aumentata, Blockchain. Traguardi lontani e ambiziosi, ma non per questo irraggiungibili.

In più, un valido aiuto verso la transizione digitale vi può arrivare da agenzie esperte come NUR, che vi può fornire gli strumenti adatti per un processo di digitalizzazione efficace, rapido e produttivo.

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