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On the road. L’evoluzione del Customer Journey

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On the road. L’evoluzione del Customer Journey
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Come creare un’esperienza coinvolgente per l’utente senza smarrirlo in un labirinto

Tempo di lettura ≈ 8 min.

Per chi si occupa di Internet Marketing, è uno degli aspetti su cui l’intera attività si concentra. Il Customer Journey è infatti il collettore dentro il quale si riuniscono attività svolte a diversi livelli. Con lo scopo di instaurare una connessione con l’utente. Più che di un viaggio, infatti, bisognerebbe parlare di una relazione: quella tra cliente e azienda/brand. Una relazione da costruire passo passo.

La partenza

Il Customer Journey, quindi, è la relazione che si instaura tra il cliente e l’azienda (o il brand) nel corso del tempo. È un percorso che si realizza insieme, tramite l’interazione, attraverso vari momenti e punti di contatto, sia offline che online. Un percorso che si consolida (o si indebolisce) nei momenti in cui i protagonisti si incontrano: i famosi touchpoint, tappe obbligate di un viaggio che sarà tanto lungo quanto più durerà l’intesa tra le due parti.

Il Customer Journey comincia generalmente quando il cliente (che ancora non è tale) manifesta un’esigenza, un bisogno, e inizia a darsi da fare per trovare i modi per soddisfarlo. Da questa semplice definizione di partenza, possiamo capire come sia cambiato il ruolo dell’utente negli ultimi anni. Da ricettore passivo di messaggi online a ricercatore fortemente attivo e interessato. È d’altronde una diretta conseguenza della digitalizzazione e dell’abitudine, dai Millennials in poi, all’uso di internet. Questa è la linea base, lo scheletro che dà origine all’esperienza. Possono poi insorgere tante variabili a facilitare oppure ostacolare questo viaggio. Compito di chi propone servizi e prodotti è, naturalmente, favorire una Customer Experience di alto livello, ripetibile, soddisfacente. Condizioni che, di sicuro, non sempre si verificano.

Modelli su modelli

Per descrivere il Customer Journey è abitudine usare un modello a 5 punti, ormai un classico del marketing digitale, che mostra però delle lacune, proprio per il fatto che l’utente non è più passivo come alle origini, bensì attivo e, in genere, abbastanza cosciente dei mezzi che ha a disposizione. Questi 5 elementi possono essere considerati complementari alla famosa teoria del Funnel, e dell’ormai ultra-citato Tofu-Mofu-Bofu:

  • Awareness: la consapevolezza che un determinato prodotto o servizio possa risolvere un certo tipo di bisogno. Una consapevolezza che può essere personale dell’utente, oppure diffusa, grazie all’immagine che il brand ha dato di sé stesso;
  • Familiarity: capacità del prodotto (e del brand che lo promuove) di renderlo identificabile e riconoscibile tra i tanti offerti. Perché? Perché in grado di soddisfare una determinata necessità;
  • Consideration: dopo aver espresso un bisogno e individuato il tipo di prodotto adatto a soddisfarlo, l’utente si informa e opera un confronto tra le diverse opzioni che vari brand propongono;
  • Purchase: individuato il prodotto adatto a soddisfare il proprio bisogno, l’utente lo acquista e diventa consumatore;
  • Loyalty: il consumatore si fidelizza nei confronti del brand, e tornerà ad acquistare suoi prodotti quando ne avrà bisogno. Risultato solitamente affidato a customer care e assistenza post-vendita, ma anche newsletter e promozioni dedicate per far conoscere nuovi prodotti.

A queste cinque fasi, seguendo invece il modello del Flywheel, aggiungeremmo il passaparola, che permette di far ripartire il circolo e riattivare i vari passaggi.

Un nuovo paradigma

Come detto, però, questo modello di Customer Journey è oggi molto meno attendibile che in passato. L’utente è più informato, ha più mezzi a disposizione, è maggiormente in grado di districarsi tra offerte di beni e servizi, non solo online. Maggiore successo riscuote ora il modello di Avinash Kaushik, basato infatti più sul lato dell’utente, e delle azioni che può o meno compiere, che sul lato del brand:

  • See: vedere il prodotto. Sarebbe la cima dell’imbuto, il più vasto pubblico possibile potenzialmente interessato al nostro brand. Sono gli utenti che lo “vedono” perché potrebbero acquistarlo;
  • Think: pensare a come soddisfare un bisogno. Sono quegli utenti che hanno un bisogno e stanno pensando a come soddisfarlo; ma potrebbero anche essere quegli utenti che stanno solo pensando di avere un bisogno;
  • Do: sono le persone realmente interessate all’acquisto, che si informano online su come soddisfare il proprio bisogno, trovando quel bene o servizio che assicura un qualcosa in più;
  • Care: sono gli utenti che hanno già comprato il prodotto o usufruito del servizio, e che intendono farlo di nuovo o consigliarlo ad altri, soprattutto se il brand si dimostra affidabile e continua a prendersi cura di loro.

Questione di Touch-Point of View

I touchpoint sono le tappe fondamentali del Customer Journey, perché rappresentano il momento in cui l’utente, la persona, entra in contatto con il brand, con il prodotto o con il servizio. Quasi inutile dire che è in queste situazioni che si costruisce la relazione tra le parti, che da qui parte un processo di conoscenza e scoperta reciproca. Anche in questo caso, i touchpoint sono stati classificati e schematizzati, sia per comodità che per cercare di sfruttarli al meglio. Troviamo quindi touchpoint:

  • Fisici: come le relazioni pubbliche, la TV, i call center, i punti vendita, le fiere, gli eventi, ma anche le più tradizionali strategie pubblicitarie e persino alcune azioni di guerrilla marketing;
  • Digitali: SEO, Ads, social, chatbot, siti internet, newsletter, landing page, la nuova ricerca vocale tramite assistenti e smart speaker;
  • Gestiti dalle aziende: campagne pubblicitarie, landing, punti vendita, eventi promozionali, fiere;
  • Terzi: passaparola, backlink e siti terzi, blog, influencer (più o meno terzi).

Ma i touchpoint non sono camere stagne separate le une dalle altre, né costituiscono sempre un percorso lineare e consequenziale: si confondono, si mescolano, si provano contemporaneamente. Il modello Funnel indica un percorso ideale, regolare e diretto, che si verifica raramente, tanto più all’interno di un universo multicanale come quello in cui viviamo oggi (come testimoniato anche da una recente ricerca di BitMat) dove sono in continuo aumento soprattutto gli Everywhere Shopper. Con tanti touchpoint (alcuni nuovi e in ascesa, come la ricerca vocale) e la crescita degli “utenti omnicanale”, può essere forte la tentazione di invadere ogni punto di contatto con i propri prodotti e servizi. Ma questa non è la strategia corretta: saturare i punti di contatto è inutile, frustrante e superfluo. È invece fondamentale attivare solo i touchpoint che servono, semplificando l’esperienza dell’utente, senza coinvolgerlo o sommergerlo di comunicazioni. Mantenendo l’abusata metafora del viaggio, meglio fare meno tappe, ma vedendo più cose (e più interessanti).

Touchpoint davvero toccanti

C’è un punto su cui i modelli e i paradigmi di Digital Marketing si sono raramente soffermati. Come devono essere i touchpoint? Ovvero, quali caratteristiche intrinseche devono avere, per poter instaurare una relazione efficace e duratura con l’utente? Sono in realtà semplici accorgimenti che ogni comunicazione, e ogni relazione destinata a durare, dovrebbe prevedere, e che possono quindi valere anche per i punti di contatto brand-utente. I touchpoint devono essere il più possibile:

  • Coerenti l’uno con l’altro, soprattutto in una situazione di esperienza multicanale come quella che vivono gli utenti. Questo significa programmare il Customer Journey e gestire con coerenza tutti i punti di contatto;
  • Onesti: occorre stare lontani dal pericolo click-bait e, qualunque sia il formato, promettere solo ciò che si può mantenere, spiegando con precisione cosa si offre.;
  • Utili: devono puntare a soddisfare un bisogno da parte dell’utente;
  • Affidabili: più la comunicazione è veritiera, efficace e utile, più si rivela affidabile. E l’affidabilità è la base della ripetibilità e della loyalty.

Online oppure offline: questo è il dilemma

Il Customer Journey, quindi, è una relazione tra brand e utente. Ma questa relazione vive attraverso tanti canali, e non solo online. Dipende naturalmente dal tipo di utente: Millennials e X-Gen tendono a sfruttare soprattutto internet, mentre le generazioni precedenti sono ancora legate ai punti di contatto fisici (tra queste, però, i baby boomers stanno incrementando l’uso delle piattaforme online). Ma in che modo un utente può arrivare all’acquisto?

  • ROPO, il celeberrimo Research Online, Purchase Offline. Avviene quando una persona cerca informazioni online per poi acquistare in negozio;
  • Click & Collect: tutte le fasi di ricerca e acquisto vengono svolte online, ma il prodotto viene ritirato in negozio;
  • Try & Buy: l’utente prova il prodotto o servizio nel punto vendita fisico e poi acquista online;
  • Full Online: l’utente svolge tutte le fasi decisionali e l’acquisto online, per poi ricevere direttamente il prodotto o servizio acquistato.

Conoscere i propri clienti

I touchpoint, e soprattutto i dati che generano, servono proprio a questo. Per imparare a conoscere i propri clienti, per identificare un target ben preciso, per capire come si comporterà e, prima ancora, di cosa ha bisogno; con lo scopo poi di tarare la Customer Experience su questi parametri. È qui che intervengono le buyer personas; di cui non bisogna abusare, ma che possono rivelarsi molto utili per capire a chi stiamo comunicando.

È fondamentale imparare a sfruttare il multicanale in modo integrato. Concentrarsi su un solo canale è inutile, bisogna sfruttare sinergicamente quelli più utili. L’utente non è una pallina da flipper che rimbalza da un touchpoint all’altro fino ad arrivare alla conversione. Il suo obiettivo non è questo, bensì quello di trovare un brand affidabile. L’utente vuole conoscere il marchio, essere immerso nel mondo che questo crea, trovare un brand che gli sia affine e che sappia creare un universo in cui vuole davvero vivere, perché lo sente realizzato su misura per lui. L’obiettivo a lungo termine è trovare qualcuno di cui potersi fidare e dover poter tornare ogni volta che se ne ha bisogno. Per questo l’awareness è il primo passo.

Come realizzare un Customer Journey avvincente

Il primo passo è, a livello concettuale, quello di considerare il Customer Journey come un tutto unico e organico, e non come un semplice imbuto che punta a risputare fuori il consumatore una volta avvenuto l’acquisto o la conversione. Occorre poi pianificare e strutturare diversi punti:

  • Costruire una mappa precisa e ben definita della Customer Experience (CX): definire gli obiettivi, identificare le buyer personas, stabilire i touchpoint più indicati da attivare e su cui puntare di più e trovare un modo efficace per collegarli;
  • A seconda del tipo di prodotti e servizi che vengono offerti, bisogna considerare che online e offline non sono due mondi distinti, ma vanno integrati. Quindi, studiare strategie integrate che accompagnino l’utente nei due settori;
  • Acquisire e analizzare i dati: sfruttare Analytics, ma non solo, implementare e utilizzare piattaforme di machine learning e marketing automation per gestire al meglio i dati raccolti;
  • User Experience: analizzando i problemi che insorgono nella CX, occorre intervenire per semplificare la l’esperienza online dell’utente (anche le interviste o i sondaggi possono essere utili);
  • Ottimizzare le tempistiche e i passaggi (sia di navigazione che di conclusione dell’acquisto);
  • Studiare website e touchpoint in modo che siano fruibili da smartphone e responsive.

Vista l’importanza che riveste il Customer Journey nell’esperienza online dell’utente, è chiaro come aziende e brand non possano permettersi di trascurare questo aspetto. Ecco perché diventa ancora più importante rivolgersi a esperti del settore, come il team di NUR. Se hai bisogno di saperne di più, non esitare a contattarci.

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